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Cambiamento

Con i ragazzi delle classi in cui lavoro abbiamo fatto una bellissima discussione da cui sono emerse diverse considerazioni sul cambiamento (tra le altre cose), e siccome io sono molto orgogliosa dei miei ragazzi, vorrei condividerle con voi.


Tutto è partito da un "semplice" esercizio di autocaratterizzazione, la cui consegna, sostanzialmente, era di descriversi in terza persona, un po' come se stessimo presentando un amico, ma parlando di noi.

Questo esercizio li ha impegnati tantissimo, hanno scritto per quasi un ora e mezza (e per un dodicenne scrivere un'ora e mezza senza essere torturato è cosa rara), e ha impegnato anche la professoressa. Poi ho fatto loro leggere un esempio di autocaratterizzazione come spunto di discussione, e lì sono fiorite le loro menti.

Fra le mille questioni brillanti e esistenziali, una domanda mi ha illuminato il cuore "prof. (perché per loro sono "prof." anche se sono poco credibile) ma quando si smette di cambiare?". Questa domanda mi investe come un treno in corsa. E ora vi racconto la mia risposta, che sembra avergli lasciato qualcosa su cui riflettere.

Quando si smette di cambiare?

"Mio Dio, spero mai."

Qui entra molto in gioco la mia professione, perché se fosse impossibile da una certa data in poi il cambiamento, il mio mestiere sarebbe un po' una fregatura. Ogni percorso psicologico mira al cambiamento di qualcosa: di un pensiero, di uno schema comportamentale, di un'abitudine, di un'emozione... Se questo, dopo un certo punto della vita fosse impossibile, saremmo destinati ad essere quello che siamo riusciti a diventare entro un momento specifico. Ma qui mi sorge una domanda: che senso avrebbe poi tutto quello che viene dopo quel momento?

Molti pazienti arrivano nei diversi studi con la sensazione che sia tutto perduto e che non ci sia una via di uscita "sono così e basta, non posso farci niente". Questo pensiero è come una zavorra, come tirare il freno a mano, come smettere di colpo di nuotare in mezzo al mare. Questo è un pensiero che di per se blocca il cambiamento e quindi lo scorrere della vita, ma soprattutto blocca la possibilità di migliorarsi e di vedersi diversi da come ci si vede in quel preciso momento, che evidentemente non è un bel momento.

Siamo davvero disposti a rinunciare alle infinite versioni di noi stessi che possiamo sviluppare? Ci vogliamo davvero adagiare e accontentare della versione attuale, per il resto della vita? Non so, io personalmente no.

La possibilità di cambiamento non deve essere intesa come eterna insoddisfazione di sè, ma anzi una stima di sé che ci porta a credere nelle nostre capacità di affrontare le difficoltà e gli imprevisti che la vita ci pone e che non smetterà di porci una volta arrivata all'età X. Apprendere, carpire dalla realtà che ci circonda tutti quegli elementi che ci possono migliorare è una competenza e una risorsa per il nostro benessere che dovremmo sviluppare e tenere ben attiva. Anche l'accettazione di sè, non intesa come rassegnazione (vedi Mindfulness), è un cambiamento: si passa dal voler essere come qualcun'altro o come un'ideale, ad accettarsi e lavorare sul'essere sempre la versione migliore di sè, sapendo che gli errori sono sempre possibili, e da questi si può imparare.

Il cambiamento è vitale: Eraclito diceva "Tutto scorre". Ricordo che la prima volta che sentii questa frase dalla mia professoressa di Filosofia al terzo anno di superiori, me ne innamorai: della frase, della filosofia, della prof., della vita. Questa è una delle frasi che mi risuona e che faccio risuonare nei momenti di svolta e in quelli di fatica.

Pochi giorni dopo ho ascoltato la storia di questo signore di 102 anni, che la nipote dipingeva come un fantastico esempio del fatto che il cambiamento ci tiene vivi, a qualsiasi età, e che non c'è una data di scadenza in cui si smette e si rimane per sempre uguali e immutabili. La flessibilità e l'adattabilità sono delle armi vincenti, che ti portano a vedere un trasferimento con entusiasmo, anche a 102 anni.

Concludendo, il cambiamento è possibile, a qualsiasi età, ci mantiene vivi e ci consente di sorprenderci e di entusiasmarci continuamente per la vita.

Quindi io ai miei ragazzi ho dato questa risposta. Chissà se li ha soddisfatti?



Qui ora ringrazio i ragazzi che seguo a scuola, perché ogni giorno mi insegnano qualcosa, facendomi domande a cui cerco la risposta più onesta possibile (che a volte, molte volte è un "non lo so"). Insieme a loro ringrazio i colleghi (i prof. quelli veri) che mi permettono di fare queste "lezioni bizzarre" in cui si chiudono i libri e si aprono le menti e le porte del mondo interiore. 
Spero di restituire almeno un po' dell'entusiasmo e della curiosità che ricevo in questi momenti.




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